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    Realtà virtuale e robotica aiutano chi lavora

    Computer vision, robotica, digital twin e realtà virtuale sono tecnologie ormai irrinunciabili per una produzione che voglia porsi davvero all’avanguardia nel panorama mondiale. Ecco perché Fincantieri ha da tempo integrato l’intelligenza artificiale lungo la propria catena organizzativa. Ottenendo l’ulteriore vantaggio di alleggerire il carico di lavoro nelle attività a basso valore aggiunto, grazie al supporto che l’IA può fornire nel processo decisionale oltre che per migliorare le condizioni di sicurezza dei dipendenti e destinarli a mansioni di maggiore responsabilità. Grazie alla tecnologia il gruppo navale italiano investe quindi sulla sua squadra e contrasta la carenza di manodopera attraverso la formazione.«La sicurezza sul lavoro e l’innovazione tecnologica sono nostri principi ispiratori e sono alla base delle azioni previste dal piano industriale di Fincantieri, con l’ambizione di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030», sottolinea Claudio Cisilino, direttore Operations, Corporate Strategy e Innovation di Fincantieri. «Il nostro scopo – prosegue Cisilino – è quindi quello di integrarle per migliorare la capacità di operare del capitale umano del gruppo».Fincantieri ricorre infatti alla computer vision per l’analisi e la manutenzione dei componenti navali: i sistemi di intelligenza artificiale acquisiscono immagini mediante fotocamere fisse o mobili installate su droni o robot e danno un feedback immediato; anche per verificare la qualità delle saldature.Parimenti strategico è il «gemello digitale», cioè la rappresentazione virtuale di un prodotto fisico. Molto più quindi di una semplice copia digitale, perché consente di simulare con grande precisione la realtà, anche per esempio per la manutenzione predittiva delle navi. Così come la realtà virtuale permette di convertire in immagini le rilevazioni delle imbarcazioni o dei bacini di costruzione servendosi di sensori collegati a robot o all’apparato motore. Insomma si tratta di un pocker di strumenti tecnologici che sono fondamentali per progettare i cantieri del futuro. LEGGI TUTTO

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    Anche l’Italia pensa alla sua ChatGPT

    Il miliardo di euro di investimento promesso dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni è soltanto l’inizio. L’Italia avrà la sua intelligenza artificiale, ma per arrivarci bisogna prima dare esecuzione a un quadro normativo chiaro e lineare. Seguendo il percorso tracciato dall’Unione europea, che con l’Ai Act approvato a marzo è diventata il primo organismo al mondo a dotarsi di un regolamento sull’intelligenza artificiale. E, proprio in piena sintonia con Bruxelles, Roma intende lanciare il nuovo corso tecnologico per il Paese.Dagli Stati generali sull’intelligenza artificiale tenutisi lo scorso 12 marzo e organizzato dal dipartimento per la Trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri è emerso questo messaggio, anche in vista del prossimo G7 in cui l’intelligenza artificiale avrà un ruolo di primo piano. All’evento hanno partecipato le più importanti figure istituzionali, a partire appunto dalla premier Meloni, e dal sottosegretario Alessio Butti, «volto» della transizione digitale che l’esecutivo ha in programma per il nostro Paese.Butti ha illustrato la strategia governativa per l’IA, che poggerà anche sul coinvolgimento dei nostri «campioni» nazionali attivi in ogni settore, partecipate statali in testa. Gruppi che saranno chiamati a mettere il loro know-how a fattor comune per aiutare a proiettare l’Italia nel futuro e dotarsi di un software in grado di competere con le americane ChatGPT di OpenAI e Gemini di Google così come le soluzioni studiate dalla Cina. Il sottosegretario Butti ha intanto anticipato che la vigilanza e il controllo sull’intelligenza artificiale sarà svolto in tandem dall’Agenzia per l’Italia digitale e dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. LEGGI TUTTO

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    Ita viaggia quasi in pareggio “Lufthansa? Nessun piano B”

    Il bilancio di Ita Airways arriva a sfiorare il pareggio. E lo fa con un anno di anticipo rispetto alle previsioni del piano industriale. La perdita di 5 milioni subita nel 2023, infatti, è un dato non banale per un gruppo che ha abituato a rossi di centinaia di milioni. Evidentemente l’impostazione data dall’ex amministratore delegato Fabio Lazzerini ha dato i suoi frutti.Basti pensare che il 2022 si era concluso con una perdita da 486 milioni, oltre 1,3 milioni al giorno. In attesa che si sbrogli la partita con l’Antitrust Ue per le nozze con Lufthansa, arriva un altro risultato tangibile per la politica industriale del governo Meloni che ha già portato a casa il risanamento di Monte dei Paschi.La compagnia ha presentato ieri i risultati approvati dal consiglio d’amministrazione con 14,8 milioni di passeggeri trasportati (+47%) e con un tasso di riempimento dei voli salito di 5 punti al 79 per cento.Salgono anche i ricavi da passeggeri a 2,2 miliardi (+67%). Ita Airways ha raggiunto il «break even con un anno di anticipo rispetto al piano condiviso con Lufthansa» e ha dimostrato «capacità dell’azienda di generare cassa», ha detto il presidente Antonio Turicchi. Anche la cassa sembra fornire elementi rassicuranti: «La cassa si attesta a valori di estrema tranquillità, a 450 milioni, figlia dei 250 milioni versati dal socio (il Mef, ndr) il che significa che l’azienda è autonoma dal punto di vista finanziario», ha spiegato il direttore finanziario Claudio Faggiani aggiungendo che il minor ammontare degli investimenti rispetto al piano «è dovuto a un ritardo da parte di Airbus nella consegna di alcuni aeromobili che sono stati poi consegnati a inizio 2024».Il gruppo, quindi, sta trovando una sua stabilità, ma comunque la strada maestra è sempre quella delle nozze con Lufthansa. «Non abbiamo un piano B perché crediamo fortemente nel piano A e i risultati lo dimostrano», ha detto Turicchi. LEGGI TUTTO

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    Scommettere sugli Usa: i magnifici 7 (ma non solo). E occhio alla variabile IA

    Il mercato azionario merita sempre attenzioni da parte di chi ha risorse (tante o poche) da investire. Le migliori performance sul medio e lungo periodo sono spesso da attribuire proprio all’investimento (oculato) in azioni.
    Uno sguardo al mercato americano e alla Borsa di Wall Street è sempre opportuno, e quest’anno gli Usa saranno per tutto l’anno sotto i riflettori anche per l’atteso confronto elettorale per le presidenziali di novembre.
    Le Big Tech
    È curioso verificare quanto un listino così ricco (oltre 2800 aziende quotate) sia finito per essere così concentrato. I “magnifici 7” (che sono le cosiddette “Big Tech”) concentrano quasi il 30% dell’intera capitalizzazione del New York Stock Exchange. Quali sono i “magnifici 7” (tra parentesi l’incremento di valore delle azioni nel corso del 2023)?
    Apple (+48%)Microsoft (+53%)Alphabet (+46%)Amazon.com (+71%)Nvidia (+213%)Tesla (+101%)Meta (+156%)
    Il Bloomberg Magnificent 7 Total Return Index, indice che segue l’andamento dei soli “magnifici 7”, mostra un incredibile guadagno medio del 98% a fronte di un +8% per la media dell’intero listino Usa.
    Non solo, i “magnifici 7” – come ricorda un’analisi di AcomeA Sgr – hanno raggiunto un multiplo di circa trenta volte, mentre il resto del mercato è arrivato a circa ventun volte. Questa divergenza si è mantenuta ad alti livelli nel corso degli ultimi quattro anni e si spiega con il comportamento degli investitori, i quali continuano a comprare un titolo, anche quando i multipli sono elevati, se la sua crescita è giustificata.

    Oltre il gigantismo

    Eppure, secondo gli analisti di AcomeA potrebbe essere arrivato il massimo. Un punto di svolta nel tech, in cui il potenziale di crescita per i “magnifici 7” potrebbe essere più limitato rispetto al passato. Del resto, considerando un orizzonte temporale di medio lungo termine e confrontando le capitalizzazioni dei “magnifici 7” con quella di intere Borse, la situazione è impressionante: sette mega cap americane capitalizzano più della Borsa cinese, di quella giapponese e di quella francese. Il gigantismo dei colossi tech americani dimostra anche quanto poco spazio possa esserci per un ulteriore upside di questi titoli. E quanto invece potrebbe essercene per altri titoli.
    Quali condizioni potrebbero favorire un mutamento di indirizzo complessivo, da indurre uno spostamento di attenzione dai “magnifici 7” ad altri attori tech (e non solo)?
    l’inflazione è in fase decrescente e sta arrivando il momento più difficile per riportarla intorno al target del 2 per centola prospettiva di un imminente taglio dei tassi da parte della Fedl’esplosione di attenzione alla tematica dell’intelligenza artificiale, che si sta affermando come potenziale driver per l’incremento della produttività
    Nel complesso – anche secondo Comgest, un grande gestore di fondi – le dimensioni di una società non sono sufficienti per avere un vantaggio competitivo e crescere nel lungo periodo, ma contano anche altri fattori, tra cui le caratteristiche del mercato.
    Il mercato statunitense è ancora in una certa misura frammentato, ma molto competitivo e in continua crescita. I dati sull’economia americana sono molto positivi, ma bisogna tenere in considerazione anche altri aspetti come l’impatto della Fed e delle elezioni negli Stati Uniti. In generale, i mercati iniziano a preoccuparsene ma, indipendentemente da chi sarà eletto, l’America avrà ancora un enorme vantaggio competitivo rispetto alle altre economie occidentali. LEGGI TUTTO

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    Elkann vende il “Secolo XIX” ma si tiene “Repubblica” e “Stampa”

    Gedi cede anche il Secolo XIX. Il gruppo editoriale della famiglia Elkann – che tra gli altri edita La Stampa e Repubblica – ha raggiunto un’intesa preliminare con il gruppo Msc per cedere la testata a una società della compagnia di navigazione che fa capo a Gianluigi Aponte. L’operazione include anche le attività digitali e di raccolta pubblicitaria relative al Secolo XIX, nonché quattro testate ad esso collegate quali The MediTelegraph, L’Avvisatore Marittimo, Il Giornale del Ponente Ligure e Ttm-Tecnologie Trasporti Mare. LEGGI TUTTO

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    Eni si prepara al matrimonio inglese

    Riassetto inglese per Eni. Secondo il «modello satellitare», confermato nel recente piano industriale, il gruppo italiano guidato da Claudio Descalzi è in trattativa con Ithaca Energy, uno dei principali operatori indipendenti di petrolio e gas nel Mare del Nord del Regno Unito, per combinare le attività upstream di Eni nel Regno Unito, inclusi gli asset di Neptune Energy recentemente acquisiti, ma esclusi alcuni asset tra cui quelli di cattura e stoccaggio di CO2 e quelli marittimi irlandesi.La nuova entità consentirà a Eni di sviluppare il business, dividendo gli oneri con il player inglese. Non solo. L’attribuzione di questi asset fuori da Eni renderà il soggetto in questione una vera e propria controllata che da un lato libera liquidità e, dall’altra, permette di incassare gli eventuali dividendi.Per arrivare all’obiettivo, Eni ha concesso a Ithaca Energy l’esclusiva sugli asset oggetto della potenziale combinazione per un periodo di 4 settimane. Il deal quindi potrebbe chiudersi per maggio. Eni ha una base di asset ben diversificata in quattro hub chiave: Elgin Franklin, J-Area, Cygnus e Seagull; Ithaca Energy è già partner nei giacimenti Elgin Franklin e Jade. In particolare, poi, il business di Eni nel Regno Unito ha avuto una produzione pro forma nel 2023 di 40-45mila barili di greggio al giorno e riserve per 100 milioni di barili al 31 dicembre 2023.«Ithaca Energy ed Eni – si legge- hanno stipulato l’accordo di esclusività per consentire il tempo di portare avanti separatamente la documentazione contrattuale richiesta in relazione alla potenziale combinazione». Se l’accordo andrà a buon fine, Eni conferirà le sue attività nel Regno Unito in cambio dell’emissione di nuove azioni di Ithaca Energy, con la previsione che il Cane a Sei Zampe arrivi a detenere al 38-39% del capitale della società post integrazione. «La potenziale combinazione rappresenterebbe un’opportunità di aumento di valore per gli azionisti di Ithaca Energy, supportando la realizzazione della strategia di acquisto, costruzione e potenziamento della società», si legge nei documenti.Per effetto della business combination nascerebbe il secondo operatore indipendente del mercato britannico per quanto attiene alla produzione. Per l’approvazione è necessaria l’approvazione degli azionisti di Classe 1, perché il socio di maggioranza resterà il gruppo israeliano Delek, che deterrà ancora azioni con più del 50% dei diritti di voto. LEGGI TUTTO

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    Stellantis, ancora esuberi a Mirafiori è incubo lavoro

    Ancora uscite incentivate di lavoratori, in accordo con le sigle sindacali metalmeccaniche (eccetto la Fiom-Cgil), negli stabilimenti italiani di Stellantis. Dopo gli incontri di ieri e martedì (2.510 gli esuberi concordati tra Mirafiori, Cassino e Pratola Serra per, rispettivamente, 1.560, 850 e 100 dipendenti), salgono ora a complessivi 3.597 gli addetti che lasceranno il lavoro. I nuovi 1.087 prossimi ex del gruppo riguardano, infatti, gli stabilimenti di Melfi (500); Pomigliano d’Arco (424); Termoli (121), dove nascerà la Gigafactory italiana; Cento (30), nel Ferrarese, e Verrone (12).La strategia di Stellantis proiettata a una sempre maggiore produzione di veicoli elettrici, comporta ovviamente una radicale rivisitazione delle attività negli impianti. Secondo la Fiom-Cgil, invece, «è sempre più evidente il piano di dismissione industriale di Stellantis dall’Italia, mascherato dall’esigenza di far fronte alla transizione».A preoccupare, in particolare, continua a essere il destino di Mirafiori, la cui produzione è abbondantemente sotto il livello minimo di sicurezza. Allarme che viene ribadito anche da Giorgio Marsiaj, presidente dell’Unione Industriali Torino: «Per stare in piedi – ricorda – uno stabilimento deve produrre almeno 200mila vetture l’anno». Per gran parte del 2024, in proposito, la produzione di Mirafiori dovrà reggersi soltanto sulla Fiat 500 elettrica, in rallentamento nonostante lo sbarco negli Usa, e le due nuove Maserati, GranTurismo e GranCabrio, modelli non dai grandi numeri. Le novità previste con il marchio del Tridente, totalmente elettriche, arriveranno solo nel 2027 e nel 2028. Lo scorso anno, Mirafiori ha sfornato circa 85mila auto tra 500 elettrica e Maserati, sotto del 9,3% sul 2022. «Siamo tutti preoccupati, Stellantis sta portando avanti un piano di investimenti, ma in questo momento il mercato è difficile. Bisogna essere estremamente competitivi e Torino sta soffrendo, la situazione è molto complessa», avverte il presidente dell’Unione Industriali di Torino, Marsiaj.Intanto, la «febbre della scossa» sale anche in Corea del Sud e colpisce Hyundai-Kia. Il terzo gruppo nel mondo per vendite ha infatti pianificato, entro il 2026, un investimento di oltre 50 miliardi di dollari. L’obiettivo: promuovere sviluppo e produzione di veicoli elettrici. LEGGI TUTTO

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    Mfe apre una breccia nel muro di Prosieben

    Mfe-Mediaset ottiene di mettere all’ordine del giorno tutte le sue proposte in vista dell’assemblea di Prosiebensat del 30 aprile. Un portavoce del gruppo guidato dall’ad Pier Silvio Berlusconi (nella foto), che è primo azionista della società tedesca con quasi il 30% delle azioni, ha espresso soddisfazione sul fatto che Prosiebensat «abbia accolto tutte le nostre proposte e candidature inserendole all’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti senza ritardi». E poi ha rimarcato: «Mettere ai voti le nostre proposte e la nostra strategia è senza dubbio nell’interesse di tutti gli azionisti ed è la scelta più democratica». LEGGI TUTTO